ARPA BIRMANA
LA PIANURA PONTINA
Raffaella Duelli
Bruno G. - uno dei tedeschi rifugiati in casa nostra
- parente di parenti di nonna Irene, un giorno mi ha presentato il maggiore
Seifert.
Già ufficiale della Wermacht, guidava una
organizzazione per il recupero delle Salme dei militari tedeschi qui caduti,
la loro sistemazione in Cimiteri tedeschi, la loro eventuale restituzione
alle famiglie in Germania.
Nell'estate del 1946, stava controllando tutta la
zona della pianura pontina.
Alla fine di quell'anno, mi unii a lui, ancora senza
un fine preciso.
Erano organizzatissimi: avevano elenchi di Caduti
e di dispersi: cartine di Cimiteri e di sepolture provvisorie. Una corrispondenza
che faceva capo a singoli e a strutture esistenti in ogni posto dove avevano
operato truppe tedesche. Pubblicavano un giornale: chiedevano e fornivano
notizie. Presentavano e davano particolari sulla ubicazione dei vari Cimiteri
di guerra.
Con il maggiore Seifert, feci qualche viaggio in
treno, fino a Latina e poi a piedi nelle zone dove cartine e schizzi appena
abbozzati segnalavano la esistenza di sepolture provvisorie.
Mi riesce molto difficile collocare cronologicamente
i nostri passi, anche se conservo ancora molta corrispondenza. Preziose
le lettere di Paolo Posio, di Piero Braidi, i giovani del Barbarigo che
nella loro memoria avevano fotografato momenti e località.
Insieme ai dati forniti da don Graziani e don Gastoldi
fu possibile ricostruire piante di cimiteri provvisori, bussare a masserie
sul cui terreno risultava fossero state sepolte salme di Caduti che non
sempre una Croce rendeva individuabili.
La mamma di Pellegata - già nell'estate del
1945 - era scesa da Milano alla ricerca del Figlio, caduto nella Pianura
Pontina e ritrovato nel cimitero di Borgo S. Michele.
Anche lei ci aveva fornito indicazioni preziose
e cartine.
Nell'estate del 1947 la Pianura Pontina si presentava
ai nostri occhi con un aspetto diverso: i casolari erano stati riadattati,
se non ricostruiti; nei campi, contadini e carri.
Con Luca, su biciclette che caricavamo sul treno
che si fermava alla stazione di Littoria-Latina, continuavamo a cercare,
a domandare.
Il maggiore Seifert ci aveva detto che voci di contadini
avevano parlato di tumuli scomparsi sotto il vomere dell'aratro e di cani
che raggranellavano cibo, raspando la terra.
A tante madri, non siamo riusciti a dare una risposta.
Il canale Mussolini - poi - aveva inghiottito a
decine i cadaveri di Quelli che erano scivolati nelle sue acque.
Sulla sabbia, trascinato dalle onde, dopo una azione
sul mare era stato ritrovato Ercole Sbarbati: la Sua tomba era accanto
ai Caduti di terra.
Con Silvana Millefiorini, VE. Gervasio, con Luca,
ci arrampicammo fino alla Badia di Valvisciolo dove - in quella primavera
del 1944 - era stato installato un Ospedale da campo e dove tanti dei nostri
erano rimasti.
Il priore - don Viani - ci aiutò, permettendoci
una indagine minuziosa laddove solo cumuli di terra, con qualche croce
e nomi spesso cancellati, erano un segnale.
Anche se il terreno scosceso poneva ostacoli a ricerche
precise (le Salme stavano scivolando pian piano verso la pianura) ci sembrava
che lì, di fronte a quella Pianura Pontina che avevano così
affannosamente difeso, potessero restare ancora.
E furono gli ultimi che riportammo a Roma.
Nell'aprile del 1950: su un camion - trovato non
ricordo per quale miracolosa raccomandazione - Silvana ed io (e mio figlio
Marco Valerio sarebbe nato dopo due mesi ... ) li accompagnammo a quella
sepoltura che sarebbe diventata la tomba del Barbarigo al Cimitero Campo
Verano di Roma.
32 cassette di zinco, con tutto quello che eravamo
riuscite a recuperare tra la terra, i resti di cassette di legno, pezzi
di sacco.
Il Sindaco di Sermoneta ci aveva prestato una bandiera
tricolore: ci fermò la polizia stradale.
Ci scortarono - con le loro motociclette - fino
a Roma.
E non saprò mai quali motivazioni, quali
pensieri abbiano sollecitato quella loro scelta.
Mettere su carta certi momenti: rivivere quelle
emozioni: il volto pallidissimo del signor Cornuda, il padre di Franco,
appoggiato allo stipite della nostra porta a Circonvallazione Appia: «..
mi aiuti, mi aiuti a ritrovare mio figlio ... ».
L'incertezza diventata dolorosa realtà con
la misurazione di un femore e il riconoscimento di un frammento di biancheria
che una madre aveva cucito per suo figlio.
Nel 1947, la telefonata del maggiore Seifert che
mi comunicava di avere depositato al Cimitero Campo Verano di Roma 52 cassette
contenenti salme di soldati italiani da lui riesumate durante il lavoro
di recupero dei militari tedeschi.
Ritrovare quei legni, ammonticchiati in un vecchio
deposito: frugare tra quelle ossa, quei capelli, quei camisacci: misurare,
pulire. Avere accanto, ancora, come durante la ritirata da Roma, gli amici
paracadutisti con i quali dividere un lavoro - che oggi oserei dire assurdo
- e cercare identità che il tempo tendeva a cancellare definitivamente.
Su quei campi dai quali Li avevamo rimossi, 50 anni
dopo - nel 1994 - abbiamo ricordato con Luciano Refice la pena per quei
volti che avevano solo occhiaie e che cercavamo di umanizzare.
Avere accanto il padre di Martelli, il piccolo fiorentino,
la mamma di Catini, i genitori di De Mayda; la signora Camuncoli che accompagnava
per l'ultima volta il figlio giovinetto.
Mentre giungevano lettere e lettere. E richieste
e implorazione.
Arrivammo tardi al Ponte dell'Incudine, sulla Via
Appia, tra Cisterna e Latina: non c'era più traccia della sepoltura
che ci avevano segnalato.
Le sei salme recuperate dietro l'Asilo infantile
di Latina: nello schema per l'individuazione dei tumuli, che avevamo trovato
in una delle cassette, ancora le correzioni e i punti interrogativi tracciati
dalla mano di Luca; tutti e sei: Avoscan - Ciavarella - Caselli De Mayda
- Ramazzotti - Tofano, si aggiunsero agli Altri.
Bussarono alla nostra porta le mamme di Enzo Chiaverini
e di Maurizio Falessi: li avevo conosciuti all'Ospedale del Celio.
Gravissimi: a Roma erano rimasti. Per sempre. Quelle
due mamme, ora, non possono più portare fiori alla tomba del Barbarigo.
Ma lo hanno fatto per anni.
Così come vi incontrammo, ogni tanto, gli
occhi senza più lacrime della mamma di Lucidi...
A tanti resti - nove - non siamo riusciti a dare
un nome: anche se, per Loro e per quelli che li hanno amati, conservo ancora
piccole medagliette, brani indecifrabili di corrispondenza, altezza presunta,
dentatura.
Avrebbero ormai 70 anni, come noi, ma in quella
tomba al Verano rimangono eterni giovinetti.
Qualche mese fa, su quella pietra tombale che al
passante ignaro ricorda che
«.. caddero combattendo alle porte di Roma
... » il fratello di uno di Loro - Signori Arcangelo - ha lasciato
uno scritto: «.. addio, fratello mio, avevi solo 17 anni ... ».
MA NONNA , TU CHE HAI FATTO LA GUERRA... Raffaella Duelli. Edizioni
T.E.R. Roma. 1996
DOPO 50 ANNI SONO I PRIMI AD ENTRARE NELLA
STORIA D'ITALIA Lunedì 6 ottobre 1997
Raffaella Duelli, ausiliaria del Btg Barbarigo
Roma ci regala un'altra giornata di sole.
Cimitero Campo Verano. Arciconfraternita dei Trapassati.
Tomba del Barbarigo: per Coloro che «caddero
combattendo alle porte di Roma» e che quasi di nascosto qui avevamo
inumato quasi 50 anni fa.
Sono con Alberto Giorgi, Renzo Palmili e il giovane
addetto del Commissariato generale Onoranze ai Caduti in guerra del Ministero
della Difesa.
La pietra tombale rotola: la cripta è aperta.
Un attimo sull'attenti: si è irrigidito anche
il giovane soldato che guida il camion del Ministero della Difesa.
Gli uomini della squadra lavorano in silenzio. La
tomba è molto profonda : occorre spostare file e file di cassette,
che sono più di cento. Chiedono a noi spiegazioni e come muoversi.
Arriva, tirata su dalle corde, la prima cassetta:
ha sul fianco una S, quella lettera che, nel 1974, avevamo ridisegnata
con Sandro Pocek.
Nelle mie annotazioni di allora, leggo: «
... dentatura perfetta, pezzi di camisaccia blu di marina, molto giovane,
ossa sminuzzate ... »
... di chi? Quale madre ha disperatamente pianto
per Lui?...
Arriva la seconda, la terza, la quarta: poi, incertezze.
Ancora le corde tirano su cassette che andiamo a
interpretare secondo i nomi incisi sui coperchi: ecco Alfonso Calzavara,
ecco Conte Vincenzo, ecco Spagna Alberto.
Anche Bardelli si allinea accanto a loro.
Sette sconosciuti: le difficoltà burocratiche,
gli ostacoli.
La pietra tombale scivola sui Tanti che ancora una
volta rimangono laggiù.
Ma quei sette proseguono per quel cammino che abbiamo
tanto tenacemente voluto e noi, per Loro, chiudiamo la nostra battaglia
e tra qualche giorno Li saluteremo al Campo della Memoria.
Amici nostri, eterni ventenni, grazie anche per
questi momenti di esaltante conquista della verità storica.
DECIMA COMANDANTE Ottobre 1997 (Indirizzo e telefono:
vedi PERIODICI)